Nonostante il risultato delle elezioni politiche in Grecia, è
estremamente probabile l’uscita di questo Stato dalla zona Euro. Il
problema delle istituzioni comunitarie è quello di evitare che l’uscita
della Grecia avvenga in modo disordinato e contagi alcuni stati
dell’Europa (Italia, Spagna e Portogallo). In ogni caso, nella migliore
delle ipotesi, si prevede uno sfilacciamento dell’unione monetaria così
come la conosciamo noi oggi, per andare forse verso un “Euro dei
virtuosi”. E’ quello che sostiene l’economista Simon Johnson, ex capo
economista del Fondo Monetario Internazionale, il quale, intervistato di
recente dal quotidiano “La Stampa”, afferma che «servirebbe la
creazione di una vera autorità fiscale centrale, capace di coordinare e
armonizzare le scelte dei singoli stati. Solo a quel punto si potrebbe
parlare di eurobond, perché le differenze tra i bilanci sarebbero
attenuate, le situazioni più irresponsabili sanate, e i tassi ridotti in
linea in tutto il continente. Questa operazione, però, richiede una
leadership molto determinata che al momento non si vede». Dalle parole
dell’Economista Johnson traspare chiaro quanto “criminale” il tentativo
di azzerare le varie sovranità nazionali in nome di una non ben
identificata “ stabilità economica” . Tale situazione legata all’enorme
pressione fiscale che gli stati sono chiamati ad imporre ai propri
cittadini, sta alimentando un terreno fertile per rivolte popolari di
grande portata. Questa situazione, da voce alla linea di pensiero che
crede nell’opportunità di uscire dalla famigerata moneta unica. Come
seconda opzione oltre a quella sopra prospettata, come già detto, è
quella di entrare nel “Euro dei virtuosi” per la parte più produttiva
del Paese. L’uscita dall’euro (volontaria o forzata) di un Paese in
difficoltà non è prevista dai trattati, che al contrario considerano
“irrevocabile” l’adozione della moneta unica. Secondo alcuni giuristi
questa irrevocabilità invaliderebbe la stessa possibilità, prevista
invece dall’art. 50 del Trattato di Lisbona, che uno Stato membro
volontariamente scelga di uscire dall’Unione Europea, perché questo
comporterebbe l’uscita dalla moneta unica. Sarebbe insomma necessaria
una modifica dei Trattati, o quantomeno una fase negoziale piuttosto
lunga. Vanno poi considerate variabili politiche importanti come ad
esempio, la possibile secessione di parti del Paese interessato e gli
effetti a catena su altri Paesi in difficoltà, che a quel punto
sarebbero oggetto di una fuga preventiva da depositi e investimenti e
diventerebbero quindi incentivati a seguire la stessa strada.
L’abbandono della moneta unica non è una passeggiata, tuttavia il report
(Natixis), pur non sottacendone le implicazioni negative (tra cui
un’immediata recessione), attribuisce in prospettiva maggiore importanza
all’effetto della svalutazione per il rilancio dell’export e il
superamento del deficit estero del Paese interessato.
Resta il nodo Italia: sarà in grado di accedere all’unione monetaria prospettata dall’economista? Su questo punto, S. Johnson presenta uno scenario già conosciuto; «il Nord del vostro Paese ha tutte le carte in regola per entrare nell’unione dei virtuosi, dal punto di vista economico, della struttura produttiva, e anche dell’etica del lavoro. Il Sud invece no, sarebbe automaticamente escluso. A quel punto vi trovereste nella condizione di prendere una delicatissima decisione politica sul vostro futuro, e cioè da che parte stare. Ma sarà una decisione che non dipenderà interamente da voi, visto che i membri della nuova unione potrebbero volere il Nord e rifiutare il Sud. A quel punto cosa succederebbe? Non so immaginarlo. In gioco, però, ci sono interessi così grandi, che potrebbero anche spaccare il Paese». Si tratta, evidentemente, della riflessione di un economista che conosce parzialmente il contesto politico del nostro Paese e tanto meno le aspirazione dei popoli della parte Settentrionale della penisola; tuttavia è interessante notare che pone, almeno indirettamente, la questione Padana, che la Lega Nord ha rappresentato sin dalle sue origini e che persiste ancora oggi nel difendere a spada tratta come una delle soluzioni per salvare contemporaneamente, la nostra sopravvivenza economica e la nostra identità.
Resta il nodo Italia: sarà in grado di accedere all’unione monetaria prospettata dall’economista? Su questo punto, S. Johnson presenta uno scenario già conosciuto; «il Nord del vostro Paese ha tutte le carte in regola per entrare nell’unione dei virtuosi, dal punto di vista economico, della struttura produttiva, e anche dell’etica del lavoro. Il Sud invece no, sarebbe automaticamente escluso. A quel punto vi trovereste nella condizione di prendere una delicatissima decisione politica sul vostro futuro, e cioè da che parte stare. Ma sarà una decisione che non dipenderà interamente da voi, visto che i membri della nuova unione potrebbero volere il Nord e rifiutare il Sud. A quel punto cosa succederebbe? Non so immaginarlo. In gioco, però, ci sono interessi così grandi, che potrebbero anche spaccare il Paese». Si tratta, evidentemente, della riflessione di un economista che conosce parzialmente il contesto politico del nostro Paese e tanto meno le aspirazione dei popoli della parte Settentrionale della penisola; tuttavia è interessante notare che pone, almeno indirettamente, la questione Padana, che la Lega Nord ha rappresentato sin dalle sue origini e che persiste ancora oggi nel difendere a spada tratta come una delle soluzioni per salvare contemporaneamente, la nostra sopravvivenza economica e la nostra identità.
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